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Il decalogo di un buon capo

5/9/2019

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Un po’ arte, un po’ scienza, innata o acquisita, la capacità di gestire le risorse umane è una delle competenze fondamentali per ogni imprenditore, gelatieri inclusi. 

È una funzione molto complessa e si articola in diversi compiti; da quelli prettamente operativi come pianificare, guidare, organizzare, delegare, controllare e valutare, fino a quelli ancora più delicati poiché comportano  anche il mettersi in gioco a livello personale: avere fiducia nei confronti dei propri collaboratori, motivarli ed aiutarli a crescere professionalmente.
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E, poi, assumersi la responsabilità di essere un “capo”, quindi il riferimento del personale in forza nell’attività e, a volte, anche lo scomodo e solitario “grillo parlante”.

La ricompensa  per questo faticoso ruolo consiste, a breve termine, nell’opportunità di lavorare in un ambiente più sereno; a lungo termine, in maggiori possibilità di raggiungere gli obiettivi desiderati persino in termini di fatturato.

I dipendenti di una gelateria, quasi sempre, infatti, sono coloro che hanno  il contatto diretto con i clienti e hanno pertanto un ruolo centrale nell’erogazione di un servizio di qualità. Possono contribuire a migliorare l’offerta poiché, partecipando all’organizzazione dell’attività, sono in grado di offrire suggerimenti e consigli utili a migliorarla.

Sono sempre i dipendenti a determinare il clima interno di una gelateria. Più è sereno più tutti, dai clienti al titolare dell’attività, sono contenti di entrarci e di starci e persino le giornate più pesanti e faticose possono essere alleggerite, grazie alla collaborazione di ognuno.  

Ecco, allora, un vademecum per tentare di essere un buon “capo” e gestire al meglio una delle più importanti risorse di cui dispone una gelateria che si rispetti:

  1. Riconoscere e accettare le proprie responsabilità

    “Non ci sono più i giovanidi una volta”,  “Non hanno voglia di lavorare”,  “non riconoscono il valore del lavoro”. Oppure:“vengono  a  lavorare  soltanto per  lo stipendio”,  “non riescono a usare la testa e sono perennemente distratti”,  “sono tutti stupidi”.

    Gli imprenditori che si sciupano in queste considerazioni non si contano certo sulle punte delle dita. Anzi, sono un buon numero, ed è un peccato poiché si tratta di persone “stanche”, a loro volta poco motivate a svolgere il proprio lavoro e, soprattutto, incapaci di mettersi in gioco e di accettare le proprie responsabilità in merito alla gestione del personale: se i loro collaboratori sono come sono, dipende da loro.

    Sta ad ogni imprenditore, infatti, sceglierli e, con buone probabilità, se non svolgono il proprio lavoro come vorrebbe significa che non ha fatto una selezione adeguata, cioè investendo tempo e risorse per farla al meglio.  

    La motivazione dei dipendenti, inoltre, va costruita, mantenuta e fatta crescere, a cominciare da quando entrano nella gelateria, la mattina, per finire quando se ne vanno la sera, e dipende in larga misura da come vengono trattati dal “Capo” e dai colleghi.

    Provare a tenerla alta è uno dei doveri dell’imprenditore i cui imperativi, anche per questo compito, dovrebbero essere investire nell’acquisizione di competenze e apprendere dai propri errori.


  2. Assegnare a ciascuno il suo compito, nel rispetto delle sue attitudini

    Nel farlo, occorre tenere ben presenti non solo e non tanto quali sono i compiti che complessivamente si possono delegare ai collaboratori e quali, invece, è necessario svolgere in prima persona, ma anche le propensioni e le attitudini di ciascuno.

    Non ha senso, per esempio, chiedere a una persona di tenere in ordine il laboratorio, quando è molto disordinata. Oppure a un’altra estremamente timida di occuparsi del servizio ai tavoli. Meglio fare il contrario e peritarsi di verificare che davvero ciascuno svolga i compiti per i quali è effettivamente più vocato.

    Scelti i compiti da assegnare, occorre comunicarli a ciascun collaboratore prendendosi lo spazio necessario e riconoscendo a questo momento l’importanza che merita.

    Sconsigliato, per esempio, farlo mentre si produce, oppure in piedi nell’area di vendita, fra un cliente e l’altro. Occorre, poi, spiegare a ciascun collaboratore che cosa ci si aspetta da lui e non solo che cosa prevede la sua mansione. Indispensabile anche specificare quali sono le regole organizzative non scritte con cui deve misurarsi.

    È utile per prevenire eventuali "trasgressioni" in particolare per non ritrovarsi nell’imbarazzante necessità di dover riprendere un collaboratore perché non ha rispettato regole che ignorava.


  3. Accettare di delegare e rispettare il modo in cui gli altri fanno il proprio lavoro

    Dopo aver fornito ai collaboratori indicazioni precise su quali sono i loro compiti, occorre fare in modo che ciascuno li esegua, secondo le sue capacità e senza avere la presunzione di ritenere che il proprio sia l’unico modo per eseguirli correttamente.  

    Da ricordare: in una squadra di lavoro, sono le differenze che consentono di lavorare con efficacia. A questo punto, bisogna prepararsi ad accettare che i propri collaboratori sbaglino anche, per poi aiutarli a rimediare i loro errori.  È un buon modo per mostrare loro i motivi per i quali si sono definite determinate procedure, per condividerle e per farle rispettare meglio.


  4. Comunicare il valore dei compiti di ognuno

    In un’organizzazione strutturata, il lavoro di uno è funzionale per quello degli altri. Tutte le mansioni, quindi, hanno un’importanza fondamentale. Nessuno dovrebbe permettersi di pensare che il suo lavoro valga di più o di meno di quello che fanno gli altri, compreso chi produce il gelato.

    Occorre pertanto comunicare a ciascuno che il suo lavoro, qualunque esso sia, è molto importante e il modo in cui viene svolto può fare la differenza in termini di  successo ed efficacia. Inevitabile, pertanto, che i collaboratori partecipino attivamente alla vita dell’attività di cui lavorano per 8 ore al giorno: nessuno è un numero.  

    Se, poi, si riesce a comunicare la passione per il proprio lavoro e il valore della propria offerta – la tradizione, il buon cibo, l’artigianalità, il rispetto dei clienti, la qualità del prodotto, l’importanza della cortesia – sarà possibile avere collaboratori ancora più motivati.

    Ovviamente, per convincere gli altri di tutto questo, occorre esserne convinti in prima persona e trasmettere entusiasmo per quello che si fa. Se ciò non accade, forse è il caso di riflettere sulle proprie motivazioni: spingere gli altri a fare qualcosa in cui non si crede è fallimentare in partenza.


  5. Incoraggiare, sostenere, premiare e sviluppare il senso di appartenenza

    Le persone che vanno a lavorare ogni giorno solo ed esclusivamente per lo stipendio sono meno di quello che si pensa comunemente. I motivi che le spingono sono anche altri e occorre tenerli nella giusta considerazione.  

    Le persone hanno bisogno di essere riconosciute ed apprezzate per quello che sono e per quello che sanno fare. Vanno incoraggiate a farlo al meglio e,  quando lo fanno, occorre ringraziarle, senza mai dare niente per scontato. Se, poi, si dice loro che si è sicuri che faranno un buon lavoro, facilmente, si impegneranno ancora di più perché non vogliono deludere le aspettative che si nutrono nei loro confronti.

    Vogliono  essere sostenute e rafforzate nel loro ruolo e ottenere premi per gli obiettivi, anche piccoli, che raggiungono, non appena li raggiungono e non dopo settimane. È possibile anche istituire bonarie “competizioni” come, per esempio, chi confeziona più coni, chi effettua il maggior numero di servizi ai tavoli, chi riceve più apprezzamenti dai clienti, chi riesce ad essere più veloce.

    Insomma, ognuno può avere un suo momento di gloria e provare il piacere di condividerlo con altri. I premi è preferibile non siano in denaro, ma consistano in qualcosa  di pensato  su misura di ciascuno.

    Possono consistere in una pizza, nell’ingresso in uno stabilimento balneare, in un buono libro o un ingresso al cinema e le modalità con cui vengono assegnati possono variare da persona a persona, in funzione delle sue caratteristiche: a fronte di chi,  per esempio, ama ricevere apprezzamenti in pubblico, c’è chi è estremamente riservato e, troppo imbarazzato, non lo tollererebbe.

    Le persone vogliono, infine, sentire di appartenere a un’organizzazione,  cioè a una realtà in cui lavorano insieme ad altri per raggiungere obiettivi comuni definiti da un “capo”, cioè un’altra persona con una funzione gerarchica diversa dalla loro, che organizzi il loro tempo, dia loro delle indicazioni ben precise e, soprattutto, si assuma la responsabilità del proprio ruolo.

  6. Essere imparziali e coerenti con tutti

    Dal proprio “capo” le persone esigono giustizia e coerenza. Vogliono essere trattate tutte nello stesso modo e sapere che si ispira a principi trasparenti.

    Onde evitare di cadere in grossolani errori, occorrerebbe tenere una traccia scritta di quello che si dice, per non scordarlo. Se, per esempio, nel 2018 il collaboratore A richiede un permesso per un motivo e glielo si accorda e, poi, non lo si accorda al collaboratore B nel 2020, il collaboratore B, inevitabilmente, penserà che il suo datore di lavoro è arrabbiato con lui, fa dei favoritismi, è sleale.

    Situazioni di questo tipo ripetute più volte contribuiscono, e di molto, a guastare l’atmosfera che si respira nel locale. La diffidenza e la critica inizieranno a diffondersi e potranno arrivare a generare malintesi e incomprensioni persino su aspetti estremamente chiari. E il proprio carisma di “capo” ne risentirà pesantemente, con tutte le conseguenze che ne possono derivare.


  7. A ciascuno l’importanza che merita

    Per sentirsi integrati  nella vita della gelateria in cui lavorano e peressere motivati a svolgere il proprio lavoro, i collaboratori  devono  anche poter pensare di avere, se lo desiderano, la possibilità di partecipare attivamente per migliorarla e renderla più funzionale.

    In questa prospettiva, può essere opportuno, chiedere il loro parere, sapere cosa pensano di determinate scelte, spiegarne loro le motivazioni e sviluppare in loro la critica costruttiva su specifici aspetti dell’attività: l’organizzazione della sala, il modo in cui si presenta il laboratorio, l’esposizione e il confezionamento del prodotto, il servizio al cliente, il marketing ma anche la comunicazione sul punto vendita.  

    Per prevenire polemiche fini a se stesse, è consigliabile invitarli a portare soluzioni e non problemi: che si lamentino pure di qualche cosa, ma che propongano anche il modo per migliorare, se non per risolvere, la situazione.

    Una volta ascoltate le loro opinioni, non è necessario rispettarle quando si operano delle scelte, ma tenerle sempre presenti e quindi, per esempio, evidenziare che si è optato per una determinata soluzione, pur avendone altre  ugualmente valide, come quelle che, appunto, di volta in volta, i collaboratori stessi hanno proposto e che, tuttavia, non sono state attuate per motivi che è bene indicare.  


    In questo senso, mettersi in gioco non è facile, ma può garantire buone soddisfazioni e portare a successi anche imprevedibili.

  8. Non parlare mai male della propria squadra o di un collaboratore

    Sconsigliato parlare male del proprio team o di un collaboratore con gli estranei o con i propri collaboratori: ciascuno è facile pensi che ora è il turno di un altro e che, presto, arriverà il proprio, con le conseguenze che è facile immaginare nei termini di un deterioramento non solo del clima che si vive nel laboratorio, ma anche e soprattutto della propria immagine.

    Se qualcuno sbaglia, è meglio assumersi le responsabilità dei suoi errori in prima persona, facendo, quindi, il contrario di quello che fanno molti “capi”: di solito, si attribuiscono i meriti di ciò che funziona ed attribuiscono ad altri i motivi della propria insoddisfazione, risultando a dir poco antipatici.  

    Se si agisce in questo modo, i collaboratori si sentiranno protetti, penseranno che il loro “capo” è dalla loro parte e, non sentendosi accusati, cercheranno di rimediare comunque a comportamenti non del tutto ottimali.

  9. Non smettere mai di osservare e, se necessario, organizzare delle riunioni

    Per svolgere al meglio il proprio ruolo serve prevenire eventuali dissapori fra collaboratori, che si possono cogliere in una battuta, in uno sguardo, in  un gesto che occorre saper interpretare.

    È possibile sciogliere eventuali tensioni, a seconda dei casi, parlandone individualmente, oppure, se le tensioni sono più generali, nel corso di riunioni da indire con ordini del giorno, evitando, quindi, le divagazioni e il protrarsi di discussioni sterili.

    Organizzare riunioni o trovare motivi di festeggiamento che vedano la partecipazione di tutti i collaboratori in forza nel locale, è utile per favorire lo sviluppo dello spirito di appartenenza e far sentire a tutti che nessuno è da solo, ma lavora insieme agli altri, in un ambiente in cui ci si aiuta a vicenda nel rispetto dei ruoli.


  10. Essere di esempio

    Un “capo” non deve certo sforzarsi di piacere ai propri collaboratori: non è il suo compito. Se lo fa, è perché non riesce a farsi carico delle sue responsabilità, non tollera la solitudine caratteristica di ogni imprenditore, e non riesce ad occupare un ruolo che, in alcuni casi, può anche arrivare ad essere “impopolare”.

    Il “capo” dovrebbe, invece, essere un modello, uno stimolo a cui i collaboratori si ispirano.

    Fra gli atteggiamenti da adottare per poter essere un buon esempio, ci sono: evitare di interrompere il lavoro degli altri per gestire continue emergenze, ogni genere di polemica, i litigi magari al telefono con i propri familiari mentre si è sul posto di lavoro, essere cortesi, non  perdere la pazienza, non mancare di rispetto a clienti e collaboratori, non criticare i fornitori e neppure i concorrenti, evitare ogni genere di polemica, non considerare i collaboratori ora confessori, ora psicologi, ora causa di ogni male.

    Meglio evitare, infine, di usare il “bastone”, uno  strumento in uso di “capi” insicuri e miopi:  è preferibile incoraggiare e premiare i comportamenti adeguati  piuttosto che rimbrottare chi sbaglia.

​​Il testo proposto è a cura di Laura Barbasio della rivista Gelato Artigianale

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