Innovazione e sostenibilità sono due temi al centro del presente e soprattutto i cardini per costruire un futuro di maggiore benessere. È possibile sfruttare questa crisi pandemica per promuovere una nuova ripartenza basata su innovazione e sostenibilità con al centro le persone e le eccellenze italiane? In questo momento non si può parlare di innovazione se non facendo riferimento alla sostenibilità. La sostenibilità economica è la base dello sviluppo sostenibile, senza risultati economici positivi e cospicui non è possibile affrontare piani di investimenti. La sostenibilità economica può essere definita come la capacità di un sistema economico di generare una crescita duratura degli indicatori economici. La sostenibilità economica è però solo la base di qualunque concetto di sostenibilità, che si sviluppa in tre dimensioni:
Il principio di ogni sviluppo deve essere, dunque, quello di garantire alle generazioni future lo stesso “capitale totale” di quella attuale, in base a un principio di equità (ESG: Environmental, Social and Corporate Governance). I tre domini suddetti sono intimamente legati al concetto di investimento responsabile (RI). La sostenibilità è, dunque, da intendersi non come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo continuo, che richiama la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali. Tali dimensioni sono però interdipendenti e non possono essere analizzate da sole. Ecco perché andrebbe superato l’indicatore del PIL (Prodotto Interno Lordo) come unico indice del benessere di un Paese, perché i parametri per valutare il progresso di una società non possono essere esclusivamente di carattere economico. Una ricerca dell’ISTAT del 2018, ha rilevato che circa il 70% delle imprese italiane dichiarano di adottare comportamenti “sostenibili”; di queste, due terzi sono imprese impegnate in azioni per migliorare benessere lavorativo e sviluppo professionale (sostenibilità sociale). Relativamente alla sostenibilità ambientale le azioni riguardano la gestione efficiente e sostenibile delle risorse energetiche (40% delle imprese), il contenimento dei consumi di acqua (60%), poco diffusi invece bilanci e/o rendicontazioni ambientali e di sostenibilità. La riduzione dell’impatto ambientale è finalizzata in primis alla reputazione aziendale. Il miglioramento della reputazione verso clienti e fornitori costituisce il motivo principale per ridurre l’impatto ambientale. La gelateria artigianale è energivora Una media gelateria con adeguati profitti ha dei costi per l’energia elettrica intorno ai 10.000 euro. La potenza disponibile è almeno 15-20kWh, anche se nell’arco dell’anno ne è impegnata mediamente molto meno. Inoltre, c’è una grande differenza nei consumi tra conservazione in vetrina rispetto ai banchi a pozzetto (circa 30%). Un investimento responsabile (RI) potrebbe essere quello di effettuare una diagnosi energetica. Spesso l’impiantistica è stata progettata per il negozio iniziale che si è via via sviluppato inserendo sempre più macchinari incorrendo in quelle che si chiamano perdite di rete (o l’energia reattiva). Tanta energia per lo scambio termico (per sottrazione termica) anche per raffreddare l’acqua di rete, ecco un’altra risorsa che si consuma in gelateria: l’acqua. L’impronta idrica delle macchine nel negozio è notevole: migliaia di litri d’acqua all’ora (1 m3/h). L’investimento responsabile qui potrebbe essere più complesso ed impattante sull’impiantistica generale. Infine, è possibile ridurre l’impatto ambientale del consumo di gelato da passeggio (accessori fra coppette, cannucce e cucchiaini di plastica) o da asporto (quasi sempre in polistirene/polistirolo espanso), si tratta della quantità di plastica ceduta al consumatore nell’acquisto del gelato. Agire sui materiali in gelateria, sull’abbigliamento, ecc. C’è addirittura chi segnala che il sito web è in hosting presso aziende che utilizzano energia Green. Gli esempi suddetti saltano all’occhio di chiunque, di qualsiasi gelatiere contemporaneo e riguardano al massimo due dimensioni. Infatti, la dimensione sociale è quella più trascurata e riguarda lavoratori, fornitori, clienti, ecc. che genera risvolti positivi sulla fiducia dell’azienda. Nel caso dei dipendenti, un maggiore attaccamento all’organizzazione aziendale per la quale lavorano e una riduzione del turnover portano meno perdite di know-how e di talenti, meno dispendio di risorse e tempo nella selezione e nella formazione. Analogo discorso di loyalty può riguardare i clienti. Ricordo che la sostenibilità porta vantaggi nel medio-lungo periodo sia che si tratti di reputazione (brand reputation), sia che si tratti di risparmi consolidati. Sono percorsi piuttosto lunghi che hanno bisogno di una visione strategica ad ampio spettro. ll testo proposto è a cura di Renato Romano della rivista Gelato Artigianale
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